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Storie di Vagabondaggio

TEMA: IL VIANDANTE
Il viandante è, sotto molti aspetti, un uomo primitivo, così come il nomade è più primitivo del contadino. Tuttavia il superamento della sedentarietà ed il disprezzo per i confini fanno di gente del mio tipo degli alfieri del futuro. Se esistessero molti uomini nei quali fosse così radicato come lo è in me il disprezzo per i confini nazionali, allora non ci sarebbero più guerre né blocchi. Niente è più odioso dei confini… Ancora una volta amo tutte queste cose familiari con una accresciuta intensità poiché sto per staccarmene. Domani amerò altri tetti, altre capanne. Non lascio qui il mio cuore, come si legge nelle lettere d’amore. Oh no, il mio cuore lo porterò con me, ho bisogno di lui anche lassù sulle montagne, in ogni ora. Poiché io sono un nomade, non un contadino. Sono un adoratore dell’infedeltà, del mutamento, della fantasia. Non tengo in nessun conto l’idea di inchiodare il mio amore ad una qualsiasi chiazza della terra. Considero tutto ciò che amiamo sempre e soltanto un’allegoria. Dove il nostro amore resta incatenato per trasformarsi in fedeltà e virtù, là esso mi diventa sospetto
Sotto quei cieli sarò spesso felice, ma spesso soffrirò anche di nostalgia per il mio paese. L’uomo del mio tipo, compiutamente realizzato, il viandante puro, non dovrebbe conoscere la nostalgia. Io la conosco, io non sono realizzato e non mi affanno per esserlo. Io voglio assaporare la mia nostalgia come assaporo le mie gioie.

Avevo all’improvviso tutto chiaro. Bella, gaia donna bionda! Non so più come ti chiami. Ti ho amata per un’ora e torno ancora ad amarti oggi sulla stradina assolata del villaggio montano, per un’ora. Nessuno ti ha amato più di me, nessuno ti ha mai concesso tanto potere su di sé quanto io te ne concessi, un potere incondizionato. Ma io sono condannato all’infedeltà. Appartengo alla razza dei volubili che non amano una donna ma solo l’amore.
Noi viandanti siamo tutti così. La nostra smania di vagabondaggio e di vita errabonda è in gran parte amore, erotismo. Il romanticismo del viaggio è per metà nient’altro che attesa dell’avventura. Ma per l’altra metà esso è impulso inconsapevole a trasformare e a dissolvere l’elemento erotico. Noi viandanti siamo abituati a coltivare i desideri amorosi proprio per la loro inappagabilità, e quell’amore che apparterrebbe alla donna noi lo dissipiamo profondendolo al villaggio e alla montagna, al lago e alla voragine, ai bimbi sul sentiero, al bove sul prato, all’uccello e alla farfalla. Noi liberiamo l’amore dall’oggetto, l’amore da solo ci è sufficiente, così come nel nostro vagare non cerchiamo la meta, ma solo il godimento del vagabondaggio per se stesso, l’essere in cammino.
Giovane donna dal fresco volto, non voglio conoscere il tuo nome. Non voglio coltivare né accrescere il mio amore per te. Tu non sei la meta del mio amore, ma il suo impulso. Questo amore io lo regalo ai fiori del sentiero, al lampo del sole nella coppa del vino, ai rossi bulbi del campanile. Tu mi permetti di essere innamorato del mondo.

TEMA: VOGLIA DI VIAGGIARE
“…e io allora pensai a come era breve la vita-e improvvisamente di tutti i propositi, i desideri e i progetti, non rimase nient’altro che una bella, inguaribile voglia di viaggiare.
Ah, la vera voglia di viaggiare non è altro che quella voglia pericolosa di pensare senza timori di sorta, di affrontare di petto il mondo e di volere avere delle risposte da tutte le cose, gli uomini, gli avvenimenti. Una voglia che non può essere placata con progetti e dai libri, che esige sempre di più e costa sempre di più, in cui bisogna mettere il cuore e il sangue”.

TEMA: APPUNTI VARI
(Canonica)
Come ha irriso e disprezzato profondamente la teologia nella mia gioventù! Essa è, oggi lo so, colma di grazia e di incanto, non ha niente a che fare con birbonate come metri e mezzi quintali e neppure con una vergognosa storia universale nella quale abitualmente si spara e si grida evviva e si tradisce, al contrario essa si occupa in modo delicato e fine di cose intime, preziose e beate, di grazia e di salvezza, di angeli e sacramenti.
Sarebbe meraviglioso per un uomo come me abitare qui ed essere parroco. Proprio per un uomo come me! Non sarei forse l’uomo adatto ad andarmene di tanto in tanto in una elegante veste da casa nera, amare teneramente e pur tuttavia soltanto spiritualmente e simbolicamente i filari di peri in giardino, consolare i moribondi al villaggio, leggere vecchi libri latini, impartire benevolmente ordini alla cuoca e la domenica con una buona predica in testa, salire alla chiesa percorrendo la strada piastrellata?
Ah, accompagnerei con uno sguardo di profonda simpatia ogni viandante che passasse dinanzi alla mia casa, lo seguirei con teneri e benevoli pensieri, ed anche con nostalgia perché lui ha in verità fatto la scelta migliore, lui che è davvero e autenticamente un ospite e un pellegrino sulla terra, al contrario di me che recito la parte del sedentario e del signore.
…me ne starei sdraiato su un ampio canapè, fumando e poltrendo follemente. Alla sera troppo pigro per alzarmi.
In breve, in questa casa io non sarei affatto un parroco, ma il solito viandante innocuo ed instabile come ora, non sarei mai e poi mai un parroco, ma ora teologo stravagante, ora buongustaio, ora poltrone incallito al riparo di bottiglie di vino, ora ammorbato di nostalgia con nel povero cuore paura e pena.
Non fa differenza che io sia parroco qui o vagabondo sulla strada. Non fa nessuna differenza, salvo un piccolo particolare, che per me ad ogni modo è della massima importanza. Che io senta la vita guizzare in me, sia essa sulla lingua o sia nelle suole, sia nella voluttà o sia nel tormento, che la mia anima sia mobile e possa insinuarsi con cento giuochi della fantasia in cento forme, in parroci e viandanti, in cuoche e assassini, in fanciulli e animali, in particolare in uccelli ed anche in alberi, questo è essenziale, questo voglio e di questo ho bisogno per vivere, e se un giorno tutto questo non dovesse più essere, se la mia vita dovesse essere inquadrata nella cosiddetta “realtà”, allora preferirei morire.
Mi sono appoggiato alla fontana ed ho disegnato la casa, con la porta verde, che è la cosa che mi piace maggiormente, e con il campanile dietro. E’possibile che abbia fatto la porta più verde di com’è ed abbia allungato il campanile. L’importante è che in questa casa ho trovato, per un quarto d’ora, patria. Per questa casa parrocchiale che ho visto solo da fuori e nella quale non conosco nessuno, un giorno proverò nostalgia come per un vero e proprio paese natale, come per i luoghi nei quali sono stato fanciullo e felice. Perché anche qui, per un quarto d’ora, sono stato fanciullo e sono stato felice.

(Masseria)
…tutto appare non come qualcosa di elaborato, di sofisticato e carpito alla natura, ma originato come roccia, albero e muschio. Muro della vigna, casa e tetto sono costruiti con la stessa pietra bruna, tutto armonizza fraternamente. Non c’è niente che produca un effetto di estraneità, di discordia o di costrizione, tutto appare familiare, sereno, armonioso.
Di fronte alla manifesta infelicità si diviene pensosi. Ma qui non ci sono problemi, l’esistenza non ha bisogno di alcuna giustificazione, i pensieri divengono un giuoco. Si hanno sensazioni: il mondo è bello, la vita è breve.
Dove dormirò questa sera? Non ha importanza. Cosa fa il mondo? Vengono trovati nuovi dei, nuove leggi, nuove libertà? Non ha importanza. Ma che quassù ancora una primula fiorisca e una patina argentea rivesta le foglie, e che morbido il vento canti sommessamente giù in basso, tra i pioppi, e tra i miei occhi ed in cielo un’ape dorata ondeggi e sussurri, - questo ha importanza. Essa sussurra la canzone della buona sorte, sussurra la canzone dell’eternità. La sua canzone è la mia storia universale.

(Casa rossa)
Come il giorno tra mattina e sera, così trascorre la mia vita tra bramosia di viaggi e desiderio di patria. Forse un giorno giungerò a far sì che viaggi e lontananze mi appartengono nell’anima, arriverò al punto che le loro immagini siano in me, senza più doverle concretizzare. Forse giungerò anche ad avere in me stesso patria, ed allora non ci saranno più vagheggiamenti di giardini e casine rosse. Avere patria in se stessi!
Come sarebbe diversa la vita! Avrebbe un centro, e dal centro scaturirebbero tutte le forze.
Qui nostalgia di essere a casa, la nostalgia di essere in cammino. Desiderio ardente di solitudine e monastero qui, anelito all’amore e alla comunità là!
Ho raccolto libri e quadri e di nuovo me ne sono disfatto. Ho coltivato l’esuberanza e il vizio e me ne sono allontanato per l’ascesi e la mortificazione. Ho venerato devotamente la vita come sostanza e pervenni al risultato di non poterla amare e riconoscere che come funzione. Ma non è affar mio cambiarmi. E’compito del miracolo. Il miracolo sfugge che lo cerca, che vuole attirarlo ed aiutarlo. Compito mio è fluttuare tra numerosi contrasti irrisolti e tenermi pronto, se il miracolo mi sorprende. Compito mio è essere infelice e soffrire irrequietezza.
Casa rossa nel verde! Ho già fatto esperienza di te, non mi è permesso volerti di nuovo. Ho già avuto patria una volta, ho costruito una casa, ho misurato parete e tetto, tracciato sentieri nel giardino ed addobbato pareti mie con quadri miei. Ogni uomo ha una propensione per queste cose- felice me che ho potuto sopravviverle! Molti dei miei desideri si sono realizzati nella mia vita. Volevo essere un poeta e divenni un poeta. Volevo avere una casa e me ne costruii una. Volevo avere moglie e figli e li ebbi. Volevo parlare agli uomini ed agire su loro, e lo feci. Ed ogni appagamento si trasformava ben presto in sazietà. Ma essere sazio era proprio ciò che non potevo sopportare. Fare poesia mi divenne sospetto. Angusta mi divenne la casa. Nessuna meta raggiunta era una meta, ogni via era una via traversa, ogni sosta generava una nostalgia.
Percorrerò ancora molte volte vie traverse, molti altri appagamenti mi deluderanno. Tutto mostrerà, un giorno, il suo significato.
Là dove i contrasti si estinguono è Nirvana. Per me essi ardono ancora limpidi, amate stelle della nostalgia.

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